Qual è il vino dei padovani? Un libro sembra svelare, senza lasciare dubbi, che si tratti del vin Friularo. Il volume, edito dalla padovana CLEUP e scritto da Nicolò Calore, con il contributo di Roberto Lorin, presidente di Conselve Vigneti e Cantine, è stato presentato oggi e raccoglie testimonianze storiche che ripercorrono un tragitto millenario, attraversando l’epopea dei primi insediamenti paleoveneti, la dominazione romana, il medioevo, i viaggi dell’imperatore Federico II di Svevia, l’epoca Carrese sino agli scontri fra Padova e Venezia, per giungere ai giorni nostri. Denominazione di origine controllata e garantita da un rigoroso disciplinare datato 2011, il Friularo si ricava da un particolare biotipo di uve raboso, uniche a bacca rosa riconosciute unanimemente come autoctone in tutta la provincia padovana e coltivate nei 14 comuni della bassa, individuati dal documento: Agna, Arre, Bagnoli di Sopra, Battaglia Terme, Bovolenta, Candiana, Due Carrare, Cartura, Conselve, Monselice, Pernumia, S. Pietro Viminario, Terrassa e Tribano. Dopo l’appassimento dei grappoli, lasciati a riposare in pianta o in fruttaio per alcune settimane, prima della successiva spremitura, segue un lungo periodo di affinamento in botte. Al termine del quale, come previsto dal disciplinare, il vino padovano per eccellenza, diventa Friularo, sprigionando i suoi profumi e sapori unici, di ciliegia, di marasca, di prugna.

IL LIBRO
“Quest’opera nasce dal grande amore e dalla straordinaria passione che le genti del nostro territorio hanno sempre avuto per la coltivazione della vite – spiega Roberto Lorin – Fino dai tempi dei paleoveneti vi è traccia della presenza di vasti vigneti che sorgevano in questa fertile porzione della nostra Regione. L’uva per antonomasia era, ed è ancora oggi, la Friulara, dalla quale si ottiene un vino robusto come le braccia di chi ha saputo trarre dalla terra l’eccellenza”. “Vin da viajo” per i veneziani, che se ne approvvigionavano prima delle lunghe peregrinazioni sui mari, il Friularo risulta tuttavia essere proprio della città attorno alla quale gravitavano le campagne della bassa: Padova. Donato in grande quantità dai monaci benedettini di Santa Giustina a Federico II di Svevia, durante il suo soggiorno a Padova nel 1239, ambito e consumato sulle tavole dei Carraresi, è però nell’opera di Angelo Beolco detto il Ruzante che trova la sua consacrazione come vino dei padovani. Nel manoscritto della “Prima Oratione” il poeta e commediografo parla di un vino “sgarboso” (raboso), che salta nel bicchiere, capace di resuscitare i morti e unico nel suo genere. Prodotto dove? “Sul Pavan” cioè nel padovano. “La volontà del testo è quella di creare tanto per l’intellettuale quanto per l’uomo pratico, un “manuale della terra del Friularo” – ha spiegato l’autore – Un manuale non tecnico né pedante, ma che contenga in maniera esaustiva tutto ciò di cui nel nostro territorio si debba andare fieri”.


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